Nicolino Rossi, uno degli ultimi romantici

Mentre l'UNESCO celebra Zamenhof nel centenario della sua scomparsa, incontriamo il volto napoletano dell'Esperanto

 di Anna Petrazzuolo

 

Classe 1939, Nicolino Rossi si presenta con il fare gentile di chi non si dà arie. Dal 2004 dirige la Cattedra di Esperanto di Napoli, incarico che ha segnato nella sua vita l’inizio di un infaticabile volontariato culturale al servizio dei valori di pace e fratellanza che sorreggono il progetto dell’Esperanto. Proviene da una famiglia patriarcale della Romagna contadina, dove malgrado la povertà trascorse anni felici.
Della mia infanzia a Santarcangelo ho un ricordo bellissimo. Ero scalzo da aprile a ottobre, poi d’inverno giravo con gli zoccoli di legno fatti dal nonno e le calze di cotone grezzo lavorato a maglia dalle nostre donne. Mi divertivo nei campi in giochi semplici, a caccia di rane nei torrenti, o di nidi sugli olmi: una vita agreste stupenda per un bambino.


Intanto scoppiava la guerra.
Sì, e i camion dei militari tedeschi bivaccavano nella nostra aia. La mia era una famiglia di mezzadri poveri, avevamo un modesto podere e la nostra vita dipendeva tutta dai raccolti, che spesso erano miseri.


Cosa voleva fare da grande?
A scuola ero bravo, uno dei migliori. Il primo giorno delle elementari, nel 1945, lo ricordo in un’aula con un grande buco nel tetto e uno nel pavimento ma andare a scuola, per me, era entusiasmante. Avevo bene appreso l’italiano e mi piaceva leggere di tutto, libri e giornalini, come il Corriere dei Piccoli e l’Intrepido. Non sapevo ancora cosa avrei voluto fare da grande, ma di sicuro non volevo fare il contadino.


Chissà quanto ha dovuto battagliare per convincere suo padre.
L’ostacolo maggiore fu mia sorella alla quale, proprio perché la famiglia necessitava di braccia per lavorare la terra, era stato impedito di studiare. Da mio padre, invece, ottenni il permesso di frequentare una scuola di avviamento professionale. Così cominciai a imparare con fervore l’inglese e il francese, al meglio che potevo, e presi lezioni private di tedesco. Nel 1955 conseguii il diploma di Computista Commerciale e andai a lavorare come apprendista receptionist in un albergo sulla Riviera Romagnola. Da lì sono passato in altri alberghi, in Italia e all’estero, prima come impiegato e poi con mansioni di dirigente e pubbliche relazioni in un grande hotel di Napoli.


Com’è stato l’incontro con la nostra città?
La prima volta che venni a Napoli fu in occasione di una gita scolastica. Avevo sedici anni e la città mi apparve caotica, luminosa, gaia. Successivamente, nel 1964, vi sono tornato per lavorare e non l’ho più abbandonata. Anche perché è qui che ho conosciuto la donna della mia vita, una napoletana doc, con la quale ho messo su famiglia.


Famiglia, lavoro e una grande passione per l’Esperanto. Come si è avvicinato alla lingua ideata da Zamenhof?
Quando ne ho sentito parlare per la prima volta, non sapevo cosa fosse l’Esperanto. All’epoca, andavo a scuola in treno da Santarcangelo a Rimini e un giovanotto che ogni giorno faceva la stessa tratta, sapendo che mi piacevano le lingue, mi suggerì di studiare anche l’Esperanto, che tutte le lingue compendia e mette alla pari. Non gli diedi subito retta, però conservai con cura la grammatichetta che lui mi regalò. Solo diversi anni dopo, lavorando a Trieste e non potendo uscire per il gelo e la bora dalla mia stanzetta, mi ricordai del libretto che sempre tenevo in valigia e cominciai a sfogliarlo.


E che gliene sembrò?
M’innamorai di questo stupendo progetto di lingua costruita che rapidamente imparai da autodidatta. In seguito, trasferitomi qui, ebbi i primi contatti con gli esperantisti di Napoli e mi misi a studiare la lingua sostenendo esami e approfondendo con assidue letture di testi di prosa e poesia, a cui mi sono poi tanto appassionato.


Quando ha iniziato a insegnare l’Esperanto?
Pur avendo conseguito il Diploma di Magistero per l’abilitazione all’insegnamento già nel 1967, gli impegni e ritmi del mio lavoro non mi hanno permesso di dedicarmi alla docenza se non dopo il pensionamento.


Un bilancio di questo periodo?
Contro il predominio della attuale lingua del potere economico, finanziario, politico-militare e scientifico, l’Esperanto lotta con le armi della neutralità, della democrazia linguistica, della pari dignità delle culture. È una lingua senza popolo, fatta per tutti i popoli. Ma occorrono tempi lunghi. Noi esperantisti, fin dai tempi di Zamenhof, siamo abituati ad avere pazienza e a essere costanti nel seminare ragionevolezza e tolleranza, rispetto di ogni diversità culturale e religiosa, e lo facciamo da centotrenta anni, con ostinata perseveranza.


L’Esperanto è anche il centro della sua produzione di poeta e raffinato traduttore.
Non potrebbe essere diversamente trattandosi di una lingua particolarmente musicale e infinitamente espressiva. Ungaretti, Pascoli e Leopardi rappresentano la mia fonte d’ispirazione ma anche il banco di prova più importante per le mie traduzioni.


Napoli è presente nella sua poesia?
A Napoli ho dedicato il ciclo “La tragedio Napola” (La tragedia Napoletana) e altre liriche pubblicate su riviste culturali esperantiste.


In fatto di musicalità, tra il Napoletano e l’Esperanto a chi assegna il primato?
Millenni di tradizione sonora non si possono disconoscere: assegniamo il primato al Napoletano!


Ha un sogno da realizzare?
Sto lavorando ad alcune traduzioni nel senso contrario, ossia letteratura originale in Esperanto tradotta in italiano. Vedremo se si realizzerà.


Facendo tutti gli scongiuri del caso, immaginerebbe per noi il suo epitaffio?
Come sorpresa finale, non è male! Proporrei questi versi, estrapolati da una peana alla vecchiaia:

Zenitaj oldulvibroj en okula
lumo dampiĝas saĝe, vivkomprene.
Oldulo jam transmondas malrevene.
(Il massimo vibrar del vecchio è face
di saggezza in sordina, è vita ancora.
Il vecchio è già nell’oltre, e là dimora.)


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