Intervista ad Andrea Fiorenza, vincitore del Premio Perelà 2014



di Anna Petrazzuolo

 

Come è nata l’idea di scrivere un romanzo sul brigante Musolino?

Cercavo un personaggio realmente esistito che con la sua storia potesse rispondere alla domanda: cosa succede quando alcune scelte producono conseguenze inimmaginabili e la vita di un uomo smette di essere una scelta e diventa soltanto una conseguenza? Giuseppe Musolino, investito da un verdetto frettoloso e ingiusto per un reato che si rivelerà nel tempo non commesso da lui, sceglie di combattere le prepotenze di quella giustizia che si accaniva quasi sempre con i più deboli. Quella scelta, che tanto i suoi familiari avevano cercato di dissuadere, lo condannerà, più della giustizia ordinaria, a conseguenze fatali. Aver ascoltato spesso nel periodo della mia infanzia e adolescenza le gesta, le glorie e le miserie di un personaggio così controverso ha smosso in me il desiderio di approfondirne la conoscenza. Soprattutto quella parte meno conosciuta e documentata del mito, i trent'anni della sua vita nel manicomio criminale di Reggio Emilia, quando ormai la sua mente non gli apparteneva più. Nel costruire il romanzo ho lasciato che anche le esistenze degli altri personaggi, il direttore, l'infermiere, la suora, ruotassero intorno alla domanda centrale. Anch'essi personaggi le cui vite sono diventate solo conseguenza, nascondono da qualche parte, come Musolino, quel filo di speranza che qualcosa possa cambiare, seppur senza sapere bene cosa.


Dietro la stesura del testo, vi è stata una lunga gestazione ossia sette anni passati in archivi e biblioteche a studiare documenti. Oltre ai dati storici, cercava forse una possibile empatia con il suo personaggio?

In ogni personaggio cerco i suoi nodi, quel pezzo della sua vita dove le cose si sono fatte difficili. È in quella parte che spesso cerchiamo di nascondere anche a noi stessi per pigrizia o paura, che ci riveliamo. Che le cose si sono fatte difficili, ce lo dicono le mani quando tremano e l'aria non è gelida, ce lo dice la voce quando si nasconde dietro lunghe pause involontarie, ma soprattutto la verità di quello che siamo diventati si può leggere tra le parole che scriviamo o i disegni che lasciamo in giro quando la mano scivola distratta sul foglio. Dopo i primi anni trascorsi a leggere su Musolino tutto ciò che gli altri avevano scritto di lui, sono andato a cercare direttamente lui. Le sue lettere mai spedite, i suoi appunti, le sue letture, le liste di oggetti che comprava per ogni cosa, banalmente anche per la sua igiene, gli sfoghi che lasciava cadere su pezzi di carta ingiallita, e in alcuni momenti mi sembrava di essere lì con lui, di sentire la sua voce che dettava le cose che leggevo. Piccole allucinazioni, certo, innocue per il clinico, ma viscerali per il narratore.   


Il libro si sviluppa su un doppio registro per cui la voce di Musolino, che narra in prima persona, si alterna alle voci degli “altri”. È il doppio registro della verità storica?

Dare voce a Musolino con la narrazione in prima persona mi ha permesso di raccontare i fatti con il tono rabbioso e amareggiato di chi quei fatti li ha dovuti sopportare. Desideravo, inoltre, che l'uomo, e non il mito, arrivasse al lettore come era arrivato a me: un uomo che lotta, consapevole di dover lottare, che nel tempo matura una voglia infinita di arrendersi, ma condannato a non poterlo fare. Con la voce degli altri, invece, mi sono attenuto a un principio: spesso i sensi ci ingannano, e la realtà davanti ai nostri occhi altro non è che il riflesso di ciò che vogliamo vedere. Credo che ciò che chiamiamo realtà storica finisca per diventare un ulteriore inganno. Forse dovremmo comportarci nei confronti di essa come i Dorzè, un popolo etiope, nel credere che i leopardi, perché convertiti al cristianesimo, digiunino tutti i venerdì, ma prudentemente, tutti i venerdì, stare alla larga da essi.


Da addetto ai lavori, qual è il suo pensiero sugli OPG?

Gli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari), nati alla fine degli anni '70 in sostituzione dei manicomi criminali come strutture finalizzate alla reclusione e, in teoria, al recupero di persone affette da malattie psichiatriche che hanno compiuto reati, o la cui malattia è sopraggiunta scontando la pena, presto verranno chiusi e in loro sostituzione ci saranno i Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive). Di sostituzione in sostituzione, dunque, sperando sempre in meglio. La prova sarà sul campo: riusciranno le nuove strutture nel difficile compito che gli viene richiesto: custodire e allo stesso tempo curare? Tutto si giocherà, dal mio punto di vista, in questi due termini, curare là dove si è da sempre cercato di custodire, con metodi, spesso nel passato, inumani. Una giustizia che custodisce e non cura, non riabilita, risponde soltanto al bisogno di vendetta e sicurezza sociale.


Quali progetti editoriali ha in cantiere?

I prossimi mesi mi vedranno impegnato alla progettazione e cura di due collane di saggistica (Terapia Strategica in azione e Pragmatica) per Giorgio Pozzi editore. Insieme a Chiara Giovannini, anche lei psicologa, cercheremo di programmare per il mercato una serie di testi che rispondano ad alcune richieste conoscitive e formative che leggiamo quotidianamente svolgendo la professione di clinici e di docenti. Ci piacerebbe trovare e pubblicare tra gli autori italiani e quelli spagnoli, oltre a quelli che scriveremo anche noi, testi che riescano a raccontarci la psicologia di utilità, sia nel campo della professione sia in quello della vita di tutti i giorni.

Per quanto riguarda la narrativa, invece, sono alle battute finali di un nuovo romanzo. È ambientato durante il Ventennio fascista e racconta la storia di un medico, anche lui come Musolino realmente esistito, che dopo l'Ostensione nel 1933 della Sacra Sindone, decide di effettuare ricerche ed esperimenti medici per verificarne l'autenticità. Ricerche ed esperimenti che prima di lui aveva cercato di condurre suo padre. Ma l'impresa non è facile. Per stabilire se la figura che compare nel sacro telo è quella di un uomo crocifisso necessita di volontari, o di cadaveri. L'uomo è dibattuto tra il bisogno di onorare la memoria del padre e la liceità morale degli esperimenti.



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