Come un chiodo nel muro

Il secondo romanzo di Tony Laudadio recensito per il quotidiano la Repubblica

di Anna Petrazzuolo

 

 

È tutto scritto nel nome il destino di Giustino Salvato, protagonista di Come un chiodo nel muro (Bompiani), secondo romanzo di Tony Laudadio. Ambientata in un non meglio precisato comune della cosiddetta Terra dei Fuochi, la vicenda di Giustino – o Gius, come lo chiamano in famiglia – si sviluppa lungo due linee narrative parallele che nel libro procedono a ritmo alternato: da una parte, il ragazzo idealista che cresce nutrendosi di poeti e di filosofi, coltivando il sogno di cambiare il mondo e laureandosi, con questo specifico obiettivo, in Giurisprudenza; dall’altra, l’uomo adulto che nelle vesti di avvocato penalista si rende conto che non c’è posto per i valori alti come la giustizia e che all’occorrenza bisogna saper accettare anche i compromessi. Quella a cui assistiamo è, di fatto, la graduale metamorfosi di un individuo che, a furia di frequentare la feccia dell’umanità, si lascia contaminare divenendo via via sempre più simile agli scarafaggi che la professione gli impone di difendere. L’evento emblematico di questa escalation rappresentandone il punto di non ritorno, è il duplice omicidio di cui Giustino si macchia: alla vigilia del suo cinquantesimo compleanno, come un boia, decapita due brutti ceffi della malavita piombatigli in casa per pretendere da lui il pizzo. L’avvocato ha d’improvviso ribrezzo di sé e sente che il castello delle sue solide certezze sta franandogli addosso. Intravede un’unica via d’uscita, ossia l’espiazione, il carcere. Non la pensano così i suoi due amici più fidati, uno magistrato e l’altro ispettore di polizia, i quali per salvarlo gli suggeriscono di buttarsi in politica e candidarsi alle prossime imminenti elezioni. Anche Giustino si convince che, in fondo, questo finale farsesco è la soluzione migliore, a patto però di distruggere tutti gli specchi che potrebbero risvegliargli la coscienza. “Cominciò a estrarre, a uno a uno, i fogli della sua giovinezza, i diari, i quaderni, gli Atti, le riflessioni sul passato e sul futuro – completamente disatteso – spargendo tutto ordinatamente ... Si preparava un grande falò. Si sentiva in viaggio verso una natura migliore, verso una razza nuova, un nuovo genere umano, e come monito per il futuro decise di ripetere quel falò ogni anno, ogni 28 ottobre, come una rinascita, come un nuovo compleanno”. La sintassi ossessiva serve qui a esaltare il delirio di una palingenesi reiterata. Farnetica, Giustino, si sente pulito e non comprende che le blatte che sovrintendono all’intera storia facendo qua e là apparizioni a sorpresa, sono sì scomparse ma solo perché hanno smesso di fare le controfigure per diventare tutt’uno con i personaggi. Più insidioso delle tre fiere dantesche, questo insetto ributtante ha una valenza allegorica, Laudadio gli mette nella pancia un’intera classe dirigente che, pur di rimanere saldamente al proprio posto, abbassa l’asticella dell’etica e si autoassolve. Con l’ipocrisia da salotto borghese e con la stessa ostinazione di un chiodo nel muro.

 

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