Uccidi chi non ti ama

Dopo avere trattato dell'anoressia in "360 gradi di rabbia", nel suo nuovo romanzo Elena Mearini racconta una storia di violenza domestica spinta alle estreme conseguenze

Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli,
che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni,
per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.

  

Batte sul petto come solenne atto di dolore il nuovo libro di Elena Mearini, Undicesimo comandamento (Perdisa Pop). Nell’hic et nunc di una narrazione in presa diretta, la colpa è l’antefatto che si rovescia sul presente determinandone gli accadimenti. Lei era ancora una bambina quando scampò all’incidente in cui morirono i genitori. Sopravvissuta, non si è mai ritenuta fortunata per questo, anzi da allora non ha fatto altro che nascondersi e censurarsi come se, persa la matrice, si fosse imposta di scomparire. Espiare diventa la sua ossessione, il sacrificio di sé la religione alla quale si converte. Con la potenza estatica di una mistica, sconta la sua pena dapprima in casa dello zio Rinaldo, cavaliere mancato e pugile fallito, e poi accanto a Diego, il marito violento, l’uomo di legge che infligge punizioni. Le pareti domestiche diventano il perimetro maledetto di una coazione a ripetere in cui lei è prigioniera di lui.

Qui, seduta in poltrona. Confusa su come mettere le mani, intrecciate oppure sciolte. Indecisa con le gambe, accavallate o a ginocchia unite. Non tengo pentagramma da seguire. Ho scarso orecchio musicale. Posso solo tentare un’improvvisazione con la speranza di azzeccare il suono. Stringo le cosce. Allineo i piedi. Lascio andare le braccia. Mani sul ventre. Una sopra l’altra. Palma che tocca dorso. Guardo Diego. Attendo che lui giudichi la mia esecuzione. Mi domando se sia questo l’adagio che vuole ascoltare.

Si immedesima, la Mearini, e con la prima persona si cala dentro le angosce di una donna mutilata nell’identità, ridotta ai minimi termini. Persino il nome risulta occultato. La metamorfosi non risparmia la scrittura, anch’essa mutilata, segmentata da una punteggiatura che ansima e detta frasi paratattiche, col fiato corto, simili a singulti. Ma il vero segno di riconoscimento di questa prosa è il linguaggio figurato, la assidua ricerca di immagini evocate a supporto delle parole, per poter dire più di quanto le parole sappiano dire.

Mi sono inventata un tempo supplementare. Allo scadere dell’incontro, dopo l’incasso di botte illecite e un mercato nero di ematomi addosso, ho sferrato il gancio del diritto a riscuotermi la vita. L’ho fatto per il figlio che porto dentro. A lui andranno tutti gli arretrati della mia esistenza.

Solo la consapevolezza della responsabilità verso un’altra vita riesce a sottrarla all’anestesia in cui è precipitata. Così, la maternità fa da spartiacque e rende plausibile un percorso salvifico che tuttavia, per potersi compiere fino in fondo, necessita di una deroga, di quell’undicesimo comandamento che – come anticipa il titolo – autorizza il male contro il male: uccidi chi non ti ama. E quando anche il conto con la giustizio degli uomini sarà stato saldato, lei ritroverà finalmente la propria identità e, con essa, quel nome che sembrava perduto per sempre.

Anna Petrazzuolo

 

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