Menzione Speciale a "In perfetto orario"

Al romanzo di Luca Rinarelli edito da Robin, va la Menzione Speciale del Premio Perelà 2010

Rigorosamente noir, il romanzo di Luca Rinarelli è ambientato in una Torino post industriale che guarda al presente ma deve fare i conti con il proprio passato. Una città plumbea che diventa complice delle esistenze disperate dei due protagonisti. Ne parliamo con l’autore.
Ti senti più scrittore o fotografo?
Mi sento decisamente più scrittore, adesso. È vero che sono arrivato alla scrittura partendo dalla fotografia, e che ho sviluppato uno stile “fotografico” usando le parole. Mi piace molto rendere le immagini attraverso le lettere: è come se io avessi una fotografia davanti a me e dovessi descriverla per telefono a qualcuno che non la può vedere.
In perfetto orario è il refrain che, a cominciare dalla copertina, ricorre frequentemente nelle pagine del tuo romanzo. Perché questa scelta stilistica?
In perfetto orario è una metafora di un modo di intendere la vita. Il modo di Werner, il protagonista. Preciso, puntuale, calcolatore. È abituato a non perdere colpi proprio in virtù di questa sua precisione. Ma In perfetto orario è anche un paradosso ironico e beffardo: di fronte a emozioni e sentimenti imprevisti, anche la più perfetta macchina da guerra può andare in tilt. In realtà Werner è già in crisi con se stesso da molto tempo, e l’incontro con Giulia è un semplice detonatore.
Le ragioni per cui prediligi il noir.
Il noir è perfetto per comunicare ciò che voglio comunicare, anche se non sono un amante delle definizioni di genere. Alcuni sostengono che il finale di In perfetto orario sia tipicamente post-noir. Non saprei davvero cosa rispondere, se non che forse queste delimitazioni di generi e stili forse sono un po’ troppo strette. In ogni caso la letteratura noir è quella che mi pare più prepotentemente attuale, legata al presente e alle sue criticità. Sono convinto che chiunque voglia scrivere dell’oggi, della società odierna e dei suoi “punti critici” abbia a disposizione col noir un’arma davvero potente. Arrivo a dire che il noir è indispensabile, perché non si può ignorare la violenza che pervade ogni giorno la nostra vita. Al contrario di quel che pensano alcuni, la violenza deve essere raccontata, anche se spiacevole, e anche se si corre sempre il rischio di scadere in una sorta di “voyeurismo splatter”. Dovremmo avere il coraggio di affrontare ciò che non va, invece di tentare di sfuggirgli (fallendo).
La Torino che fa da sfondo alla storia è una città centripeta che si prepara ai giochi olimpici e che intanto si fa complice dell’incontro tra Werner e Salvatore, due esistenze che probabilmente altrove si sarebbero ignorate a vicenda.
Si tratta di una città che storicamente ha spesso dovuto cambiare identità. Da capitale del Regno a polo industriale, a nuovo centro del terziario e della cultura. L’ho trovata perfetta per ambientarci una storia vissuta da personaggi che sono costretti a cambiare, ad adattarsi a nuove circostanze. Inoltre tutto mi è venuto facile: conosco molto bene il luogo, ne vivo tristezze e gioie. Tutto questo romanzo parte dal lavoro fotografico La sconfitta dell’uomo meccanico – scatti dall’ex capitale industriale del 2004. Avevo ripreso le vecchie fabbriche in dismissione, e mi parvero una location perfetta per una vicenda come questa.
Da dove sei partito per costruire dei personaggi relegati alla marginalità?
Ho conosciuto molte persone che vivono in strada e adulti in difficoltà attraverso l’attività di volontariato che svolgo da dieci anni.
Gli autori che preferisci?
Robert Louis Stevenson, Mary Shelley, Bram Stoker. Per me il noir inizia di qua. Spero non si scandalizzi nessuno. Mi è piaciuto molto anche La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig.
In questi giorni esce La gabbia dei matti, il tuo secondo romanzo.
Sì. È un romanzo breve che esce per Agenzia X di Milano. È incentrato sulla crisi economico-sociale, sulla precarietà e sulla violenza che pervadono l’Italia di oggi. E sulla malattia mentale. Un operatore sociale perde il lavoro che svolge con passione da anni. Un suo assistito muore durante un fermo di polizia. Si scatena l’inferno... Non ho mai digerito i casi delle morti di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, e dei tanti a cui è successo lo stesso.
Cosa consiglieresti a un esordiente?
Pubblicare un romanzo è solo l’inizio. Bisogna mettere energia nella promozione, darsi da fare. È necessario desiderare di migliorarsi, e impegnarsi nel farlo. A prescindere dal risultato di pubblico, per me ne vale la pena. Inventare storie e raccontarle. È bellissimo.
 

 

 

 

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