Teatralità di un saggio

Un impianto sorprendentemente drammaturgico per il saggio polemico e coraggioso di Maurizio Ponticello

«N

omme bello. Nomme santo. Nomme putente. Nomme benedetto…»: comincia così, come una sequenza di rintocchi, I Misteri di Piedigrotta (Controcorrente Edizioni), il saggio che è valso all’autore Maurizio Ponticello la Menzione Speciale al Premio Masaniello 2009.

Un tempo fu la Festa delle Feste, l’attrazione che richiamava a Napoli regnanti, intellettuali e notabili da tutta l’Europa; poi, travolta in una spirale di menzogne e mistificazioni, Piedigrotta si avviò al declino fino a diventare vuota e scialba ritualità. Perché? Nel corposo volume, Ponticello ricostruisce la parabola di un mistero inquietante che attraversa mitologia e simbolismo, antropologia e religione, alchimia e folclore.

Peculiarità di questo percorso è l’impianto semiotico di tipo teatrale: il libro che ha per oggetto la rappresentazione della festa, è costruito esso stesso come uno spettacolo. L’opera si apre con un’Ouverture che funge da lunga e dettagliata didascalia nella quale sono descritti il luogo dell’azione, i personaggi, i costumi, la mimica. Entrando nel vivo della trattazione vera e propria, invece della consueta suddivisione in capitoli, il lettore incontra una struttura che si articola in atti: tre, per la precisione, ciascuno con frequenti richiami al tòpos della scena.

Alla dimensione drammaturgica rinvia anche il titolo scelto per la sezione finale del testo, Sipario, esplicita allusione alla tela che calando chiude lo spettacolo. Tutta questa esibita teatralità che di certo ha il vantaggio di agevolare la fruizione di contenuti talvolta impegnativi, si carica di un’ulteriore fascinazione se si pensa che nella storia distorta e anomala di Piedigrotta si riflettono le vicende anch’esse distorte e anomale di una città da più parti considerata locus teatrale per eccellenza.              

 

Anna Petrazzuolo

 

La recensione è stata pubblicata sul magazine di cultura e spettacolo ENNETI.

 

 

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